Alda Merini: 'Il barbone'

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Alda Merini

Il barbone



Il barbone era lì, davanti a San Giulio. Era un barbone questuante di Santa Rita. Stava con altri due appena dimessi dalla galera.
Erano tutti e tre malridotti, ma il mio di più: era piccolo come me. Teneva in fresco nella fontana di San Giulio il suo vino giornaliero. Andava a pescare la bottiglia ogni mezz’ora e mi diceva «Bevi, va’, tanto è agosto».
Guardandolo pensavo alla leggenda del Santo Bevitore che voleva arrivare a Santa Teresa ma, fermandosi davanti a ogni osteria, santo non diventava mai.
Al mio barbone chiedevo: «Hai visto R.?». Mi rispondeva: «Se mi paghi ti do notizia».
Una volta che non avevo soldi, gli dissi: «Se vuoi faccio l’amore con te». Mi guardò e poi rispose: «Ho un bel sacco a pelo». Finimmo nel sacco, senza combinare niente. Passarono le Contesse e mi guardarono con schifo e con ribrezzo: la mia storia con R. finì così.
Tornai a San Giulio venti giorni dopo. Faceva freddo e il barbone aveva la febbre.
Soldi non ne avevo. Gli dissi: «Mi aspetti qui».
Corsi al Corriere. Polese mi regalò 50 mila lire. Io le portai trafelata all’uomo della galera e gli dissi: «Sono per il barbone ». Poi respirai di sollievo.
Il mio barbone non era ricco, così la chiesa l’ha comprato perché dicesse cose profane. Ma il barbone era un filosofo, e mi portò a far l’amore sui prati, allo scoperto, di modo che lo potessero vedere certe Contesse.
Il barbone era un furbo, ma le Contesse erano maldicenti, e come le ninfe giocavano sempre coi satiri.
Le Contesse nella mia vita sono state come i manicomi: mi hanno spaccata in due. Contesse di qui, Contesse di là, tutte svenevoli, agrodolci, incartapecorite, infiorettate e con tante graziose velleità d’amore verso i giovani. Sabotavano spesso e volentieri il bottino prezioso dei poeti poveri, prendendo le mie piume di pavone cadute per metterle tra i loro seni dolenti, sperando che qualcuno gliele togliesse con una bocca perlacea e volenterosa di sesso.
Quanto siano querule, sospettose, maldicenti e stupide queste persone Dio solo lo sa, perché le sopporta davanti al tabernacolo ventiquattro ore al giorno.
Il mio barbone un giorno mi disse: «Quando passa da queste parti una signora piccola e svelta come lei, io torno indietro negli anni, e penso a Concetta, la mia Concetta. Per lei un giorno sono finito in galera. Per lei io chiedo l’elemosina qui, davanti a San Giulio. La mia Concetta è morta di cancro. Se me l’avessero detto l’avrei curata io, con il mio alito. L’amore non è una cosa fraterna. È una cosa che viene dal dolore. E allora io domando al magistrato che ha offeso lei e me, se questa condanna è giusta. È stato come condannare Dio, perché la mia Concetta io l’amavo, e se anche fosse stata adultera, il mio amore sarebbe bastato a redimerla. Ma queste cose la legge non le capisce. Il mio grande, povero amore. Tutti gli amori, Concetta, sono poveri, sai, proprio tutti. Gli amori sono come i frati e vanno a mendicare, e i mendicanti sono degli innamorati sereni che si dimenticano della realtà. Così un giorno inatteso, innamorato fino alla follia e quasi senza accorgermene, ho preso in mano una pistola: un povero imbecille mi aveva provocato perché non sapeva e non conosceva cosa fosse l’amore. E ora, davanti alla giustizia che mi ha separato da lei, vorrei portare il suo cadavere, il cadavere della mia donna morta di cancro. Perché il cancro viene dall’amore ferito. E questo, Concetta, lo sapeva bene. Ecco la storia che io mi porto addosso da anni, assieme al mio ergastolo, e la racconto ai frati e a una povera poetessa che mi sta ad ascoltare. E voglio anche dire che non mi pento, perché quella pistola, per Dio, aveva un fiore. Quella pistola non ha sparato una pallottola nera, ma il giglio del mio canto, il mio ultimo canto d’amore».


Alda Merini, all'anagrafe Alda Giuseppina Angela Merini (Milano, 21 marzo 1931 – Milano, 1 novembre 2009)

[ Poetessa, aforista e scrittrice italiana. Vide pubblicate le prime poesie a diciannove anni. L'amore agitato con Giorgio Manganelli riportò alla luce i disagi psichici: dal 1965 al 1972 fu internata in un ospedale psichiatrico. Dimessa, visse nella sua casa sui Navigli, spesso in stato di emarginazione, circondandosi di artisti. ]


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