Dezső Kosztolányi: 'Felice, triste canzone'

Stampa

Dezső Kosztolányi

Felice, triste canzone



Noce, papavero, nocciole,
nella dispensa la raccolta.
Ho anche una buona coperta,
il telefono, una valigia,
la gente che mi vuole bene,
a cui non devo chiedere nulla.
Non sono più il fantasma di una volta,
ubriaco tra lacrime nella nebbia,
e quando saluto la gente,
molti mi salutano già prima.
Ho l'elettricità, la luce,
ho una tabacchiera di puro argento,
nella mia bocca la vecchia pipa,
si muovono allegri penna e matita..
C'è il bagno per rinfrescarmi,
tè tiepido per i miei nervi stanchi,
e quando passo a Budapest,
mi conoscono già tanti.
Quello che decanto, commuove tanti,
e mi considera il suo giovane figlio
poeta la vecchia Ungheria.
Ma, certe volte, mi fermo la notte,
tormentato e pensando alla morte,
e cerco il tesoro nascosto,
il tesoro di una volta, il vecchio,
come un malato febbricitante,
che si sveglia e confuso
cerca di sbrogliare il suo sogno,
che ahimè che cosa volevo?
Perché il tesoro non l'ho trovato,
il tesoro per cui mi sono bruciato.
Sono a casa in questo mondo,
e non sono più a casa nel cielo.

1920


[ FONTE ]


Dezső Kosztolányi de Nemeskosztolány (Subotica, 29 marzo 1885 – Budapest, 3 novembre 1936)

Questo sito NON utilizza alcun cookie di profilazione proprio. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei “social plugin” ed attribuibili a Facebook, Twitter, Pinterest, Google, etc. Se accedi ad un qualunque elemento sottostante o chiudi questo banner, acconsenti all'uso dei cookie. Se vuoi saperne di più sull’utilizzo dei cookie, in genere e nel sito e, sapere come disabilitarne l’uso, leggi l'Informativa sull’uso dei Cookie. Informativa Privacy e uso Cookie.

Accetto i Cookie da questo sito.

EU Cookie Information